27 Luglio 2024
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Fabrizio Nassi ci ha lasciato.

19-11-2019 23:13 -
Qualche anno fa ero ad un corso di aggiornamento allenatori al Palamandela di Firenze. Come didattica dovevamo assistere ad un allenamento della nazionale italiana di pallavolo. Ad un certo punto l'allenatore interruppe la "lezione" e disse (circa) queste parole: "Qui in tribuna è presente uno dei più grandi giocatori che in passato abbiano mai fatto parte di questa nazionale". Non indicò nessuno, ma il suo sguardo era rivolto verso Fabrizio Nassi, diventato tutto rosso ed emozionato, che ebbe solo la forza di dire "Grazie".
Oggi lo abbiamo seguito nel suo ultimo viaggio, stroncato da una malattia che in 55 giorni lo ha strappato dalla vita. Posso solo immaginare il grande vuoto che ha lasciato nel cuore della sua famiglia.
In quella bella chiesa romanica ero quasi in fondo ed ho potuto notare che la maggior parte dei presenti aveva una capigliatura bella bianca, magari con vaste mancanze di pelo. Sì, molti erano over 65 reduci di quella generazione di (grandi) atleti.
Non voglio fare qui l'elenco degli immensi meriti sportivi di Fabrizio, voglio solo ricordarlo come era negli anni sessanta, culla della sua formazione come uomo e come atleta, ed in questo rivedere un po' anche come eravamo noi stessi.
Per la mia mamma e per gli amici non era Fabrizio, era "Luicchio", tanto era filiforme, e anche se era così fu trascinato nella squadretta di pallavolo che don Bertelli (poi vescovo di Volterra) volle organizzare nel quartiere Oltrera circa nel 1964, dietro la spinta del modenese professor Anderlini (forse il primo vero guru del volley italiano). Più che una squadra di atleti era una squadra di ragazzi che si conoscevano da anni. Eravamo spesso in casa uno dell'altro. Così era anche per casa Nassi, dove mamma Ofelia e babbo Targo ci accoglievano sempre con il sorriso sulle labbra e sopportavano la nostra esuberanza. Si giocava spesso davanti alla chiesa di San Giuseppe, a volte con la rete vera, a volte sfruttando la rete metallica del campino di calcio (una volta fu proprio Fabrizio che ci rimase attaccato mi sembra... con il naso!). Dopo un po' ci furono consegnate anche le maglie: rosse, pesanti, di lana doppia. Quando si sudava le gocce diventavano rosse come le maglie. Una risata.
Il primo allenatore fu Diego Marsili, poi arrivò Claudio Piazza. Ambedue arrivavano dalla squadra della Marly Pontedera, guidata da Franco Ferrini e che vinse anche titoli nazionali CSI. Con Claudio le cose si fecero più serie, fino a creare quel fenomeno che oggi tutti conoscono come "I Giapponesi di Pontedera".
Io avevo già attaccato le scarpette al chiodo da tempo, ma tutti quei ragazzi ne fecero di carriera! Posso dire che mi venne la pelle d'oca quando ero a Mosca per assistere alle olimpiadi del 1980 e vidi sfilare un pontederese: era lui, Fabrizio.
Luicchio non ti dava subito la sua confidenza e già allora non era estroverso come magari lo era un po' troppo qualcuno di noi. Ma era affidabile, sano, serio, continuo, pallavolisticamente era perfetto nella tecnica di tutti i fondamentali: su di lui potevi fare affidamento. E' difficile oggi (come ieri) vedere un centrale che riceve e che cerca la ricezione. Mi posso solo immaginare cosa poteva diventare se invece di 185 centimetri fosse stato alto come è oggi quasi ogni pallavolista che arriva ai suoi livelli.
Che c'entra tutto questo con il VBC? Tanto! Innanzi tutto le ragazze che ebbero l'idea di una squadra femminile a Pontedera, la ebbero perchè vedevano Fabrizio e compagni. E poi fu grazie a loro se nella nostra città si sviluppò un volley davvero all'avanguardia per quei tempi, volley che per anni rese forti anche le donne del VBC.

Paolo.



Fonte: La Società.

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